AMBIENTI DESCRITTI DA MANZONI

 

Cap. I casa di Don Abbondio:

Dopo l’incontro con i bravi don Abbondio torna a casa e chiama Perpetua la quale al richiamo del suo padrone risponde:

 

 “Vengo” mettendo sul tavolino, al luogo solito, il fiaschetto del vino prediletto da Don Abbondio, e si mosse lentamente; ma non aveva ancora toccata la soglia del salotto, ch’egli v’entrò, con un passo così legato, con uno sguardo così adombrato, con un viso così stravolto… Mentre Don Abbondio si lasciava andar tutto ansante sul suo seggiolone.

 

Cap. II casa di Lucia:

Renzo, dopo una discussione con Don Abbondio, va a casa di Lucia per dirle che il matrimonio non si può fare …

 

Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la speranza dalla strada, ed era cinto da un morettino. Renzo entrò nel cortile e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova incorpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando:”lo sposo! Lo sposo!”. “zitta, Bettina, zitta!”disse Renzo. “vien qua; va su da Lucia tirala in disparte, e dille all’orecchio…ma che nessuno senta,né sospetti nulla, ve’…dille che ho da parlarle, che l’aspetto nella stanza terrena, e che venga subito”. La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d’avere una commissione segreta da eseguire.

Agnese dice a Renzo di andare dal dottor Azzeccagarbugli per avere un consiglio.

 

Cap. III studio Azzeccagarbugli:

Dopo un lungo cammino Renzo arriva nello studio del dottor Azzeccagarbugli:

 

Era uno stanzone, su due pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici cesari, con uno scaffale di libri , una tavola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli, di grida con tre o quattro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminante a faggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là.

Azzeccagarbugli, avvenuto il colloquio, capisce che Renzo non è uno dei bravi e per non mettersi contro Don Abbondio lo manda via in modo offensivo.

 

Cap. V case del regno di Don Rodrigo:

Fra Cristoforo decide di andare al palazzotto di Don Rodrigo per parlargli di quello che stava facendo ai poveri ragazzi…

 

Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di Don Rodrigo, ed era come la piccola capitale del suo piccolo regno. Bastava pensarvi, per essere chiarito della condizione e de’costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s’incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella.

           

 

Palazzotto di Don Rodrigo:

Arrivato lì assiste a un banchetto dato dal padrone del palazzotto dove si discuteva della cavalleria:

 

Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte, sconnesse e consunte dagli anni, erano però difese da grosse inferiate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avvoltoi, con ali spalancate, e co’teschi penzoloni, uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore.

Il banchetto finisce e finalmente don Rodrigo riceve il frate.

 

Cap. VI casa di Tonio:

il frate, finito il colloquio, va a casa delle donne per avvisarle della mal riuscita del colloquio. Successivamente Agnese spiega ai ragazzi la possibilità di fare un matrimonio a sorpresa, Renzo accetta e va a cercare un testimone per le nozze…

 

Andò addirittura, alla casetta d’un certo Tonio, ch’era lì poco distante, e lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col martello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saracena. La madre, un fratello, la moglie di Tonio erano a tavola; a tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare.

Ma non c’era quell’allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi se l’è meritato con la fatica. La mole della polenta era in ragion dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’commensali: e ognun d’essi, fissando, con uno sguardo bieco d’amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla porzione d’appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, con un gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne dissero cortesemente a Renzo: “volete restar servito?” complimento che il contadino di Lombardia, e chi sa di quant’altri paesi! Non lascia mai di fare a chi lo trovi a mangiare, quand’anche questo fosse un ricco epulone alzatosi allora da tavola, e lui fosse all’ultimo boccone.

Renzo felice di aver travato i due testimoni (Tonio e Gervaso), torna a casa.

 

Cap. VIII lo studio di Don Abbondio:

Renzo e Lucia mettono in atto il loro piano relativo al matrimonio e con una scusa entrano in casa di don Abbondio, ma lui capisce il piano e…

 

Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del tavolino, e tiratolo a se, con furia, buttando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s’era avvicinato a Lucia.

I bravi intanto entrano a casa di Lucia per il rapimento ma la trovano vuota. Il piano del matrimonio finisce male e i ragazzi sono costretti a scappare al paese.

 

Cap. IX i “giochi” di Geltrude:

I ragazzi con Agnese arrivano nella parte occidentale del lago di Como poi vanno a Monza dove si separano. Le donne vanno al monastero dove vive Gertrude, quando riceve e donne le viene in mente la sua infanzia.

 

Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che rappresentavano monache.

Gertrude ascolta la storia di Lucia e si rivede in lei.

 

Cap. XIV L’osteria:

Dopo un discorso sulle ingiustizie dei potenti un poliziotto in borghese porta Renzo in un’osteria dove lo fa ubriacare:

 

Renzo per un cortiletto; s’accostò all’uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v’entrò col suo compagno. Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d’una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto.

Dopo una chiacchierata con il poliziotto torna a casa a dormire.

Cap. XXIV la casa del sarto:

Lucia dopo essere stata rinchiusa nel castello viene liberata dal cardinale che la porta a casa di un sarto.

 

Presto presto, rimettendo stipa sotto un calderotto, dove notava un buon cappone, fece alzare il bollore al brodo, e riempitane una scodella già guarnita di fette di pane, potè finalmente presentarla a Lucia.

L’Innominato avvisa ai suoi uomini che se gli serviranno li chiamerà.

 

Cap. XXXV il lazzaretto:

Quando Renzo viene a sapere che Lucia è al lazzaretto corre da lei...

 

S’immagini il lettore il recinto del lazzaretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interinate fughe di portici, a destra e a sinistre, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi o sulla paglia e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichio, come un ondeggiamento e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Dalla porta dove s’era fermato, fino alla cappella del mezzo, e di là all’altra porta in faccia, c’era come un viale sgombro di capanne e di ogni altro impedimento stabile.

Mise un occhio a un largo spiraglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la solita infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine, o guanciali, o lenzuoli distesi o topponi.

Al lazzaretto trova un Padre che gli fa vedere in che condizioni si trova don Rodrigo.